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"Resteremo qui fino a quando il popolo afghano avrà bisogno di noi”

Diari dall'Afghanistan. #2
Racconto da Herat del responsabile afghano dell'ufficio WFP. " Il futuro rimane incerto, sconosciuto. Ma come la Cittadella di Herat, il WFP rimane solido, una fortezza contro la fame. Fino a quando il popolo afgano avrà bisogno di noi, resteremo al suo fianco".
, Qadir Assemy, responsabile dell’ufficio WFP di Herat
Afghan IDP girl stands in a camp for IDP in an area near Qala-i Naw, the capital of Badghis province in northwest Afghanistan. 26 May 2021
Una bambina afghana in un campo per sfollati. Dall'inizio dell'anno, sono aumentati di oltre mezzo milione gli sfollati nel paese. ©WFP/Arete/Andrew Quilty

Herat è la mia città. Il luogo che io e la mia famiglia chiamiamo casa. Herat è la capitale culturale dell’Afghanistan, conosciuta per le arti, la poesia, la letteratura, la musica. E per il Qala Iktyaruddin, la Cittadella di Herat, che a detta di alcuni sarebbe stata una delle fortezze di Alessandro il Grande. 

È una città antica, che ha conosciuto diverse guerre in passato. Eppure, non avremmo mai immaginato che la guerra sarebbe tornata ancora un volta, in questo modo. 

A partire dall’inizio di luglio, i combattimenti hanno cominciato ad intensificarsi ad una velocità mai  vista, con la linea del fronte che si avvicinava sempre di più. I primi giorni di agosto, aveva circondato la città. Tutte le strade erano bloccate e gran parte dei voli cancellati.  

Fuori dalle nostre finestre, infuriavano i combattimenti. Sentivo le raffiche delle mitragliatrici, qualche volta l’artiglieria. Tutto era cambiato in un modo così rapido e drammatico, eravamo tutti sotto shock. Amici e familiari si organizzavano per fuggire. I miei bambini, terrorizzati, mi dicevano “Ayesha e la sua famiglia sono andati via, Baba”. Qualche minuto più tardi, tornavano da me informandomi che “Rasa e i suoi genitori sono partiti, Baba.” Cosa potevo rispondere? “Non ci succederà niente”, ho detto. 

Già l’inizio del 2021 è stato molto difficile, con metà della popolazione afghana che aveva bisogno di assistenza umanitaria. È possibile che il peggio debba però ancora arrivare.

Avevamo la guerra davanti a casa, ma la nostra routine non cambiava. Una collega, una volta, scherzando disse che “quello che noi chiamiamo business as usual è in realtà incredibile per molte persone”. Aveva ragione. È normale per noi fare il nostro lavoro in quello che è, probabilmente, uno dei contesti più difficili al mondo. Guerre, siccità, alluvioni e, di recente, la pandemia di Covid-19: è questo che dobbiamo affrontare ogni singolo giorno. I nostri convogli carichi di cibo sono sempre in movimento, che piova o che risplenda il sole in cielo, su percorsi che si snodano tra i picchi montagnosi del paese. 

Non è stato facile prendere la decisione di rimanere, quando gli scontri sono scoppiati nella città. Ma, per me e per i miei colleghi, non ci sono stati dubbi. Per noi, la battaglia più grande nel paese, al momento, è quella contro la fame. Milioni di persone dipendono dal cibo del WFP per sopravvivere, è adesso che hanno più bisogno di noi. Tra poche settimane arriverà l’inverno e, a quel punto, i rifornimenti del WFP saranno esauriti. Sarà una catastrofe se non riusciremo a portare cibo nel paese e consegnarlo alle comunità prima che le strade siano interrotte dalla neve.  

Il 12 agosto Herat è caduta. Tre giorni dopo, è stata la volta di Kabul.

Ci sono giorni in cui la situazione, qui, sembra più tranquilla e noi andiamo avanti con la nostra solita routine. È di nuovo business as usual. Altre volte, però, mi chiedo se non ci aspetta un’altra tempesta all’orizzonte. 

Un altro capitolo si è aggiunto, ancora una volta, alla lunga storia della mia città. Il futuro rimane incerto, sconosciuto. Ma come la Cittadella di Herat, il WFP rimane solido, una fortezza contro la fame. Fino a quando il popolo afgano avrà bisogno di noi, resteremo al suo fianco. 

 

*Articolo pubblicato su La Stampa il 30 agosto 2021.

Leggi il primo e il terzo episodio de Diari dall'Afghanistan.

 

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