Diario da Gaza: 'Non c'è il tempo di piangere niente e nessuno'
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Martedì 24 ottobre
È già il diciottesimo giorno di questa brutale guerra che ha strappato via la vita che amiamo. Vorrei poter dire che io e la mia famiglia ce l'abbiamo fatta fino ad adesso, ma è davvero così, con i nostri cari che sono stati uccisi?
Sono passati diciotto giorni, ma sembrano diciotto anni. Hanno infranto i nostri sogni e costretto le nostre aspirazioni a ridursi alla semplice ricerca di acqua potabile e cibo. Ci è sembrato un lusso, quelle volte che siamo riusciti ad avere acqua pulita e potabile.
In passato, qualche volta capitava che mi chiedessi come facessero a sopravvivere le persone che ricevevano assistenza dal WFP con le scarse scorte di cui disponevano. Ora lo so, perché capita a me, in prima persona, anche se penso che non esista nessuna strategia di adattamento, neanche per i più intraprendenti tra di noi, che ci aiuti a superare questi giorni.
Anche questa notte è passata. Le notti sono le più spaventose. Dormiamo tutti vicini, tutti insieme, così, qualunque cosa capiti, avremo tutti lo stesso destino.
La guerra sta divorando tutto ciò che conosciamo: persone, edifici, speranze per un futuro migliore. Il rumore continuo delle bombe che cadono sulla città – risparmiando le nostre teste solo per pura fortuna – è come se mi perforasse il cervello, togliendomi il sonno e l’ultima goccia di sanità mentale a cui cerco di aggrapparmi.
Ho già perso sette familiari e alcuni amici; la mia università è distrutta così come molti dei posti che amavo. Li sto contando, e vorrei che i numeri non fossero mai esistiti. Non c’è tempo per piangere niente o nessuno, e c’è appena il tempo di capire come se la cavano i sopravvissuti.
Negli ultimi cinque giorni, c'è stata disconnessione tra me e il mondo. Gli attacchi aerei hanno distrutto la zona in cui vivevamo. Tutte le infrastrutture sono crollate. Invece del solito profumo delle foglie di vite, ora sentiamo l'odore della morte.
Giovedì 26 ottobre
Il WFP, l'organizzazione per cui lavoro, ha il mandato di combattere la fame nel mondo. E qui, a dire il vero, siamo una squadra piena di risorse...
Quando la guerra è iniziata, alcune famiglie sono evacuate, dopo che gli attacchi aerei avevano bombardato le loro case. Abbiamo deciso di intervenire con cibi pronti e pane fresco. Abbiamo fornito farina a dozzine di panifici per mantenerli in funzione.
Nella prima settimana del conflitto, al nostro team è stato detto di lasciare le nostre case e trasferirci in luoghi “più sicuri”. Quattro nostri colleghi hanno già perso la casa e tutto ciò che possedevano.
Cosa abbiamo fatto? Abbiamo continuato a lavorare.
Dopo pochi giorni, i panifici sono stati bombardati, il cibo ha cominciato a scarseggiare, le operazioni sul campo sono diventate impossibili, ma nessuno si è fermato. Abbiamo ricevuto ulteriore supporto da remoto dai colleghi del WFP a Gerusalemme, Cisgiordania e Il Cairo.
Solo un paio di giorni dopo aver abbandonato le nostre case, è andata via l'elettricità. Dopo un paio di giorni, la nostra squadra è rimasta senza acqua. Abbiamo poi perso la connessione Internet e, quindi, il nostro collegamento con il mondo esterno.
Iniziamo a provare un brutto senso di distacco dal mondo, dalle persone che amiamo e dalle persone che assistiamo. Cerchiamo di fare in modo che le persone affamate e colpite dai conflitti abbiano cibo, ma noi stessi non abbiamo quasi nulla da mangiare.
Prima della guerra, secondo il WFP più di un milione di palestinesi a Gaza soffrivano di insicurezza alimentare. Oggi tutti noi, le nostre famiglie e tutta Gaza viviamo condizioni di insicurezza alimentare.
Vorrei che la mancanza di cibo e acqua fosse tutto ciò di cui preoccuparsi. Vorrei che non dovessimo preoccuparci delle nostre famiglie, dei nostri amici e dei nostri cari, e della nostra stessa sopravvivenza.
Vorrei poter tornare alle noiose conversazioni d'ufficio. Vorrei poter tornare alle pause con il caffé della mattina. Vorrei non dover mai piangere nel lutto.
Domenica 29 ottobre
Vado sul tetto e mi guardo intorno. Cerco di capire dove potrebbero cadere le dozzine di attacchi aerei che vedo lampeggiare nel cielo. Faccio un elenco mentale di dove si trovano i miei amici, in base al nostro ultimo controllo incrociato. Alcuni al nord, altri al sud, e io mi trovo in mezzo a un mare di preoccupazione e dolore.
Un attacco aereo a nord. Due. Tre…dieci. Diventano più forti e più vicini. Perdo il conto. Vado dall'altra parte del tetto per guardare verso sud, verso quella parte della Striscia che è stata contrassegnata come zona sicura. Cade una bomba. Due. Il cielo si illumina di fiamme rossastre. Tre…cinque…le fiamme divorano il cielo di Dio. Otto.
Dal basso mi chiama mio fratello. Gli attacchi aerei sono ormai così vicini che non riesco più a vedere niente, per la polvere che copre la vista.
Dopo stasera, so che è probabile che dovrò contare ancora più parenti e amici morti di quante sono le dita sulle mie mani.
Sono seduto sul bordo del letto dei miei genitori e mi chiedo se il mio cuore è abbastanza grande per contenere tutta questa agonia che la vita sta spingendo verso di me, verso di noi.
Ho addestrato questo cuore affinché ci sia abbastanza spazio per ricevere amore, gentilezza e speranza, quando bussassero alla sua porta in cerca di un posto accogliente. Non so però quale delle stanze del mio cuore potrebbe ospitare un ospite così gravoso e cospicuo come il dolore.
Una volta ho letto che se il dolore capisce che c'è una porta, non se ne andrà mai via. Diventa un appuntamento fisso, si abitua alle tue giornate, le vive insieme a te. Ci saranno giorni in cui lo incontrerai, altri in cui non ti accorgerai che è lì, seduto alla tua tavola. Puoi trattarlo come vorrai, lui rimarrà lì.
Oggi l’ho lasciato entrare. “Benvenuto”, dico al dolore. "Fai come se fossi a casa tua."
Il mio cuore è più pesante del solito. Mi sembra di portare delle montagne sulle spalle. Un ospite davvero pesante, ma questo peso ricorderà sempre, a me, a noi, coloro che amiamo. Le persone che abbiamo perso. Quelli che amavano e vivevano la vita come se fosse eterna.
Non siamo al sicuro. No, non lo siamo per niente.
Ad oggi, il cibo e il denaro del WFP hanno raggiunto oltre 630.000 persone a Gaza e in Cisgiordania. Abbiamo bisogno di molto più accesso. Servono almeno 40 camion di forniture alimentari che entrino a Gaza ogni giorno, se si vuole tenere il passo con i bisogni crescenti .