"Abbiamo cibo in abbondanza pronto per entrare a Gaza, ci serve solo il via libera"

Qui aggiornamenti in comunicati stampa (in inglese).
La popolazione di Gaza rischia la morte per fame, con l'ingresso di tutti gli aiuti bloccato dal 2 marzo. Un rapporto di 17 agenzie delle Nazioni Unite e ONG, pubblicato la scorsa settimana, afferma che 470.000 persone affrontano una fame catastrofica, al livello 5 della Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare (Integrated Food Security Phase Classification), lo standard globale per misurare l'insicurezza alimentare. Si prevede inoltre che 71.000 bambini e oltre 17.000 donne in gravidanza e allattamento necessiteranno di cure urgenti per malnutrizione acuta.
Di seguito, tre operatori del WFP condividono le loro prospettive: due di loro hanno visitato Deir el-Balah, nel cuore di Gaza, a maggio, mentre l'altra operatrice umanitaria viene da Gaza stessa.
‘Dobbiamo aiutare le persone dove si trovano - e rapidamente'
Antoine Renard, Direttore WFP per la Palestina

Da quando una rete di 25 panifici supportati dal WFP ha chiuso, abbiamo dovuto affrontare notevoli difficoltà nel garantire l'accesso al pane. Perché? Perché non abbiamo abbastanza farina.
Il significato culturale dell'assenza di pane a Gaza non può essere sopravvalutato: il pane è vita. Come mi ha detto una persona: "Senza pane, niente Gaza".
Le famiglie schiacciano la pasta per ricavarne della farina in modo che i bambini possano avere in tavola qualcosa di simile al pane.

La guerra è ripresa il 18 marzo: senza carburante, senza cibo, le catene di approvvigionamento si stanno esaurendo e le persone si chiedono: "Mangeremo domani?".
Il WFP forniva pane a prezzi accessibili. Un pacco con 21 pani costava dai due ai tre shekel (meno di un dollaro). Ma ora un sacco da 25 kg di farina di grano costa più di 500 dollari – e anche in quel caso, è probabile che sia deteriorata.
Non è solo l'assistenza umanitaria a essere interrotta: anche i prodotti commerciali. Il settore privato dipende da beni commerciali. La gente di Gaza non dovrebbe dover dipendere dai partner umanitari per sopravvivere.

Il WFP ha bisogno che i valichi riaprano. Abbiamo bisogno che arrivino pacchi alimentari, ma questo non basta. Le persone hanno anche bisogno di cibo fresco, che non mangiano da troppo tempo.
Il rischio di carestia è alto. Due settimane fa, 180 cucine (supportate dal Settore per la Sicurezza Alimentare, un organismo di coordinamento umanitario) erano ancora operative e servivano 1 milione di persone. Oggi, solo 61 rimangono operative, raggiungendo meno di 250.000 persone.
È inaccettabile. Le persone non possono muoversi. Non possono permettersi i trasporti. Non possono rischiare di andare al mercato nelle circostanze attuali: potrebbero essere attaccate, affrontare bande o essere bombardate. Dobbiamo servire le persone dove si trovano, e rapidamente.
‘Un bambino ha dato via il suo ultimo giocattolo per un pezzo di pane'
Kate Newton, Vice direttrice WFP in Palestina

Abbiamo girato la Striscia in lungo e in largo e abbiamo regolarmente constatato che non c'è cibo. Siamo stati nelle tende delle persone. Ci hanno mostrato le loro pentole.
Siamo certi che le persone vanno a letto affamate ogni sera e che c'è il rischio concreto che inizino a morire di fame. Le persone vivono tra le macerie, in tende, senza possibilità di cucinare.
Una donna ci ha raccontato di essere andata in una delle cucine comunitarie rimaste e di non aver trovato nemmeno il riso. È riuscita a portare solo una pentola di zuppa con 16 fagioli alla sua famiglia di cinque persone.

La fame è vera e reale. Siamo molto preoccupati. Prima del 2 marzo, il WFP serviva pasti caldi a 1 milione di persone al giorno. Ora sono meno di 25.000, distribuite in due cucine comunitarie, una a Deir el-Balah e una a Khan Younis.
Questo significa che meno della metà delle persone che soffrono la fame più disperata può ricevere cibo caldo da noi. Non hanno scorte alimentari, pochissimi contanti e i mercati sono vuoti.
Le storie che il nostro personale sente dalle famiglie sono strazianti, come quella del bambino che ha dato via il suo ultimo giocattolo per un pezzo di pane. Il WFP ha un'abbondanza di cibo pronto per entrare a Gaza. Abbiamo scorte fuori dalla Striscia di Gaza che possono essere portate qui facilmente e rapidamente. Abbiamo solo bisogno di supporto per poterlo fare.
‘La carestia non compare dall'oggi al domani'
Nour Hammad, operatrice umanitaria WFP in Palestina

All'inizio, pensavamo che la chiusura dei valichi sarebbe durata un giorno o due. Ma il nostro team si è subito reso conto che avevamo di fronta una crisi potenzialmente di lunga durata. Dal 2 marzo, il team del WFP ha lavorato instancabilmente per sfruttare al massimo le limitate scorte alimentari rimanenti, cercando di raggiungere il maggior numero possibile di famiglie.
Con la ripresa degli attacchi aerei il 18 marzo, ci siamo resi conto che la guerra era tornata. All'inizio di marzo, molti prodotti erano ancora disponibili al mercato. Ricordo di aver visto – e acquistato – formaggio, snack e beni di prima necessità. Ma verso la fine di marzo, non c'era già più nulla. Sempre più persone si sono rivolte al WFP per chiedere aiuto.

Il 1° aprile, le persone che dipendevano dai nostri aiuti umanitari hanno avuto la più terribile delle sorprese: tutti i panifici da noi supportati hanno chiuso. La gente era terrorizzata. Se la più grande agenzia umanitaria in questo contesto non riesce ad aiutare i panifici a rimanere aperti – se comincia a mancare il pane – cosa succederà?
Aprile è stato un periodo di mancanze: le persone hanno iniziato a esaurire i beni di prima necessità lentamente ma inesorabilmente. Farina, olio vegetale e prodotti di base hanno iniziato a scomparire dal mercato e dalle scorte della gente. I supermercati hanno iniziato a rimanere senza cibo uno dopo l'altro e hanno chiuso i battenti. Questo ha allarmato la popolazione e ha messo in luce il futuro incerto e la cupa realtà di tutta la Striscia di Gaza.
Alla terza settimana di aprile, alcune famiglie avevano esaurito tutto e altre cercavano cibo alle mense comunitarie. Altri facevano affidamento sul cibo in scatola o su ciò che rimaneva di quanto ricevuto nei punti di distribuzione umanitaria.
La prima settimana di maggio è stata disastrosa. Le persone che assistiamo hanno fatto ricorso ai peggiori meccanismi di adattamento.

Al mercato si trovava solo farina avariata e infestata, con un cattivissimo odore. Ma quando è tutto quello che c'è, si usa nche quella.
Abbiamo iniziato a organizzare più missioni sul campo per ascoltare la gente di Gaza, sentire le loro voci e comprendere meglio le loro esigenze in questa situazione di estrema scarsità.
La gente cerca di mettere qualcosa in tavola ma c'è così poco cibo disponibile. Le donne saltano i pasti per dare ai figli quel poco che hanno, e si sentono stordite ed esauste.

I genitori mettono a riposo i figli presto nella speranza che non pensino alla cena. Con la continua chiusura dei valichi, i palestinesi ci dicono che stanno vivendo come una lenta condanna a morte.
La carestia non compare dall'oggi al domani. L'accesso al cibo si perde lentamente. Poi si perde peso. Poi si perdono le forze.
E ciò che più ci tormenta come operatori umanitari è sentire le persone dire che preferirebbero morire sotto un bombardamento piuttosto che soffrire per la mancanza di cibo e mentire ai propri figli sui pasti disponibili.