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Enrico Piano, un globetrotter umanitario, ora in Burkina Faso

Flessibilità, preparazione e voglia di aiutare chi ha bisogno. Questi i tratti principali di Enrico Piano, al momento in servizio…
, WFP Italia
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Enrico Piano, funzionario di Relazioni esterne in Burkina Faso. Foto: WFP/Emanuela Cutelli

Flessibilità, preparazione e voglia di aiutare chi ha bisogno. Questi i tratti principali di Enrico Piano, al momento in servizio nell'ufficio WFP a Ouagadougou, in Burkina Faso, paese in questo periodo al centro di una grave crisi umanitaria per il conflitto che segna grandi aree del paese e che causa grandi spostamenti di popolazione in cerca di salvezza. Enrico ci spiega cosa succede nel paese del Sahel centrale e come è arrivato in Burkina Faso. [Breve video in fondo al testo e qui].

Enrico, sei da quattro mesi nell'ufficio centrale del WFP in Burkina Faso, uno dei tre paesi nel Sahel centrale, insieme al Mali e al Niger, che al momento è soggetto a una grave crisi umanitaria, dovuta ad un peggioramento della situazione della sicurezza e aggravata dall'impatto dei cambiamenti climatici. Ad oggi, 2,4 milioni di persone in tutto il Sahel centrale hanno bisogno di assistenza alimentare e la situazione potrebbe peggiorare. Vuoi raccontarci cosa succede in Burkina Faso?

In Burkina Faso e nel Sahel centrale c'è una situazione di insicurezza dovuta ad un numero elevato di incidenti provocati da gruppi armati non identificati. In Burkina Faso la situazione è peggiorata drasticamente negli ultimi dodici mesi, basti pensare che a dicembre 2018 c'erano 40.000 sfollati, ora ce ne sono 486.000 ed entro la fine dell'anno potrebbero diventare addirittura a 650.000, praticamente si raddoppiano le stime fino ad ora fatte.

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Una donna con il suo bambino sfollata a causa del conflitto che infuria in diverse zone del paese. Foto: WFP/Marwa Awad

Questi sfollamenti, cioè persone che lasciano tutto quello che hanno per andare in luoghi più sicuri dove non sono esposte agli attacchi dei gruppi armati, si verificano in un contesto già critico di un paese dove quattro persone su cinque dipendono dall'agricoltura. Chiaramente, lasciando i campi, gli agricoltori non possono più coltivare. Invece, per chi sceglie di rimanere nei propri luoghi di origine, può capitare che certi gruppi vietino la coltivazione di determinate piantagioni o in assoluto di coltivare.

La situazione degli sfollati è grave, il paese è abbastanza vulnerabile e, purtroppo, si teme che la situazione possa peggiorare. Le cifre attuali sono abbastanza preoccupanti, con pessime prospettive per il periodo di ‘magra', cioè quello in cui non si è ancora piantato il raccolto e si fa affidamento sulle risorse messe da parte. Tra giugno e settembre di quest'anno c'erano 688.000 persone bisognose di assistenza alimentare, per l'anno prossimo le prime cifre parlano di un milione e 800.000 nello stesso periodo, inclusi gli sfollati. Parliamo di persone che hanno bisogno di assistenza alimentare.

In tutto il Sahel centrale, gli sfollati sono circa 900.000. Cosa fa il WFP per aiutare gli sfollati e chi ha bisogno di assistenza alimentare, nell'immediato ma anche in una prospettiva a lungo termine?

Il WFP in Burkina Faso fornisce assistenza alimentare agli sfollati. In genere si tratta di assistenza mensile attraverso un paniere di diversi alimenti. Stiamo però ora studiando la possibilità di distribuire anche contanti elettronici (il mobile money) e potenzialmente dei voucher.

Questi aiuti sono poi complementati, quando necessario, da alimenti nutritivi speciali per la prevenzione della malnutrizione per i bambini tra i 6 e i 23 mesi, e per le donne incinte e che allattano.

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Una bambina in un centro per la salute viene controllata con il MUAC (Middle Upper Arm Circumference) per determinare l'eventuale livello di malnutrizione. Foto: WFP/Marwa Awad

Stiamo anche introducendo programmi di alimentazione scolastica affinché non venga persa una generazione, e in modo che i bambini abbiano accesso all'educazione scolastica e all'alimentazione quotidiana.

Per aiutare la coesione sociale, visto che la maggior parte degli sfollati quando si sposta viene ospitata nelle comunità locali, il WFP fornisce anche assistenza alle comunità ogni tre mesi. Ciò aiuta a mantenere un equilibrio nel contesto sociale già vulnerabile dove si sta operando. In Burkina Faso c'è una grande solidarietà, perciò la prima vera assistenza è fatta dalle persone che già condividono quel poco che hanno con gli sfollati. Possono essere parenti fuggiti o persone sconosciute che vengono ospitate nelle comunità dove condividono spazi, cibo e altre cose.

In una prospettiva a lungo termine, stiamo lavorando con la FAO su un progetto di ‘early recovery', sempre per gli sfollati e per le comunità ospitanti, affinché possano iniziare ad avere dei mezzi di sostentamento autonomi e non essere dipendenti da una continua assistenza umanitaria, anche per criticità di risorse. L'idea è di facilitare un passaggio graduale, per queste popolazioni, da una assistenza mensile incondizionata a una attività più simile a quella della resilienza.

Che impatto ha questa crisi sui bambini e sui più vulnerabili?

Ha un grande impatto, basti pensare che il 40% degli sfollati sono bambini, e il 40% sono donne. La popolazione del Burkina Faso è abbastanza giovane. La crisi ha un grande impatto perché il tutto avviene in contesti dove le popolazioni sono già vulnerabili di per sè. Basti anche pensare che una recente Verifica Nutrizionale che abbiamo redatto in aree ad alta concentrazione di sfollati ha evidenziato in specifiche zone che i livelli di malnutrizione sono sopra i limiti della soglia di emergenza. Questo è un chiaro segnale che la situazione è seria, di conseguenza le nostre attività, come quelle di alimentazione scolastica e a supporto della nutrizione, sono fondamentali e sono fatte proprio per tentare di supportare le popolazioni e mitigare questi problemi.

Se esiste, vuoi raccontarci una tua giornata tipo nell'ufficio centrale WFP in Burkina Faso?

Bella domanda! La mia giornata tipo inizia con una riunione di emergenza con tutti i responsabili delle varie unità, le persone coinvolte nella risposta all'emergenza e i vari uffici sul campo. Sulla base delle varie informazioni scambiate e dei punti discussi in riunione, si lavora per tutta la giornata, rispondendo anche alle richieste dei donatori o a quelle provenienti dell'ufficio regionale del WFP a Dakar, o anche dalla sede centrale del WFP a Roma. Non sempre c'è la possibilità di pianificare come si vorrebbe, non abbiamo sempre questo lusso.

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Enrico Piano al lavoro in un centro di distribuzione del cibo in Burkina Faso.

Ti capita di andare sul campo, nei vari uffici WFP sparsi sul territorio in Burkina faso?

Mi è capitato quando sono stato per la prima volta in Burkina Faso. Al momento, non ho il tempo materiale di spostarmi, oltre ad esserci aspetti di sicurezza da considerare. Mi piacerebbe però andarci più spesso…

Mi è capitato, dicevo, nel luglio di quest'anno, quando abbiamo iniziato un programma di distribuzione nella regione del Nord del paese, e lì ho partecipato alla distribuzione dell'assistenza alimentare. In questo caso specifico — non accade sempre infatti — il WFP si occupava direttamente delle distribuzioni senza nessun partner locale, come ONG o organizzazioni civili. Ero andato per fare comunicazione e reporting di queste distribuzioni, e mi sono trovato a dare una mano ai colleghi visto l'afflusso delle persone, dando una mano nell'organizzazione controllando quante quantità dovevano ottenere le varie famiglie e partecipando attivamente distribuendo l'olio vegetale e altri alimenti.

Era la prima volta che lo facevo, è stato un bello sforzo, fisicamente, ma anche un'esperienza molto intensa e gratificante.

Dopo un paio d'anni di lavoro al quartier generale del WFP a Roma, rivedere quello che facciamo sul campo è una delle soddisfazioni che fa riflettere sulla missione del WFP, salvare vite e cambiare vite, su cosa davvero significa l'assistenza alimentare a persone che ne hanno bisogno. In quel contesto, ero andato per intervistare i beneficiari e capire da dove provenivano, cosa avevano lasciato dietro, cosa provavano, che aspettative e necessità avevano, al fine di preparare i vari documenti informativi e di reportistica. Inaspettatamente, mi sono trovato implicato anche nella distribuzione materiale. Una bella esperienza!

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Enrico Piano con un collega WFP sul campo in Burkina Faso.

Hai una vasta esperienza nell'ambito umanitario, avendo lavorato per il WFP in molti uffici: Evaluation, Relazioni esterne, Business Support e, sul campo, al Cairo, in Mauritania. Per la FAO sei stato un anno in Burundi e hai lavorato per Save the Children in Albania, per l'UNECA nel 2010 in Ruanda e nel 2009 in Libia per l'UNHCR. Davvero un globetrotter umanitario! Cosa ti ha spinto ad intraprendere quella che più di una carriera si potrebbe chiamare una missione? Cosa ti motiva?

Da ragazzo ho avuto la fortuna, o forse la sfortuna (!), di vivere all'estero perché mio padre era un diplomatico. Abbiamo vissuto in vari paesi, tra cui in Kenia. Mi è capitato di vedere nelle baraccopoli di Nairobi come vivevano le persone, e i loro bisogni primari. Ero un ragazzo, e magari lì per lì non ti soffermi troppo a pensare, ma poi ho studiato e quando si è creata una opportunità per uno stage all'IFAD, ho capito quale fosse la mia strada e il mio interesse. Volevo dare il mio contributo, anche piccolo, aiutando persone che hanno poco o nulla, rispetto a noi che viviamo in un contesto privilegiato. Da allora, ho lavorato in vari ruoli, in vari posti, sulla base delle opportunità che mi si presentavano. Cosa mi motiva? Semplicemente, tentare di dare una mano, anche se minima, a chi ha bisogno.

Quali pensi siano le sfide che la comunità umanitaria deve affrontare, in un momento in cui aumentano i conflitti come anche l'impatto dei cambiamenti climatici su milioni di persone?

Ci troviamo in un mondo che sta perdendo la fiducia o l'interesse nell'aiutare chi ha più bisogno. Questo ha un impatto sulle attività del WFP ma anche su altri milioni di attori a livello locale ed internazionale. Purtroppo la situazione non va migliorando, ci sono paesi come il Burkina Faso che un anno fa erano tutto sommato sicuri e relativamente in pace, sulla via di un progressivo sviluppo. Adesso siamo in una situazione di emergenza, per questo le nostre attività devono mantenere entrambe le prospettive: agire ora per l'emergenza umanitaria e, allo stesso tempo, lavorare per non perdere ciò che era stato ottenuto con le attività di resilienza. La più grande difficoltà è tentare di riconquistare la fiducia del pubblico di fronte ad emergenze come questa.

Un consiglio in tre parole per chi volesse intraprendere la carriera di operatore umanitario.

Passione, determinazione e spirito di sacrificio. Passione perché non è un lavoro facile, soprattutto se si va sul campo.

Determinazione perché bisogna essere pronti ad affrontare, nella nostra carriera, tanti no. E' vero, ho fatto parecchi lavori, ma nel complesso, ho ricevuto più rifiuti di quanti lavori abbia alla fine fatto. Non bisogna però disperare.

Quanto allo spirito di sacrificio, voglio dire che non è sempre facile dover viaggiare spesso, in posti che certo non sono turistici, questo ha un impatto anche sulla tua vita personale. E ci vuole spirito di adattabilità, sia nel lavoro che si fa che nei posti in cui ci si trova.