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Aiutare subito i più vulnerabili, come Fatima e i suoi figli.

Un centinaio di famiglie vive nella Città Industriale: è questo il soprannome che i rifugiati hanno dato ad un fatiscente agglomerato fatto di teli di plastica, telai di legno e indumenti umidi che si agitano nel vento polveroso. All'ombra delle fabbriche di cemento, ogni famiglia ha una storia da raccontare, nessuna delle quali è facile da ascoltare.
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Fatima con cinque dei suoi bambini. Foto: WFP/Ziad Rizkallah

Fatima è seduta su una stuoia sudicia, un ventilatore elettrico smuove l'aria, emanando un continuo ronzio. Non c'è nient'altro nella stanza, perchè Fatima ha venduto la maggior parte dei suoi beni per comprare cibo e per pagare l'affitto. C'è solo un'altra camera, una cucina buia e umida con un bagno annesso. E' qui che Fatima vive con i suoi sei figli.

Nel 2013, appena sposata e con un figlio, Fatima viveva nelle campagne di Aleppo. Trascorreva le serate ascoltando il canto dei grilli e sorseggiando tè con il marito. Parlavano di come sarebbero invecchiati insieme e delle canzoni che avrebbero insegnato ai loro nipoti.

Una notte, il paesaggio bucolico di Fatima è stato distrutto e la sua vita non è più stata la stessa: un missile si era abbattuto sulla casa accanto alla loro. Il bagliore e l'esplosione assordante la perseguitano ancora, ogni notte. Nel buio, Fatima e il marito fecero i bagagli e, all'alba, scapparono il più velocemente possibile, il più lontano possibile. Verso il Libano.

Si stabilirono in un campo oltre le montagne, poco dopo la madre di Fatima si unì a loro. Ben presto, la famiglia si ritrovò in difficoltà economiche. Il marito si mise in cerca di un lavoro, grazie al quale aiutò a comprare cibo, vestiti e con l'arrivo dell'inverno, coperte e carburante, ma i risparmi si stavano esaurendo.

Passarono settimane, poi mesi. Le violenze continuavano ad aumentare e la loro città, Aleppo, veniva distrutta. Aumentava anche il numero degli abitanti di Aleppo che si rifugiavano in Libano.

Fatima aveva già quattro figli quando il World Food Programme le fornì una carta elettronica caricata con il denaro necessario per comprare cibo.

"Mi hanno abbandonata tutti."

Una mattina, suo marito uscì, dicendo che andava a comprare un televisore. Fatima era in attesa del loro sesto figlio.

È trascorso un anno e l'uomo non è ancora tornato.

Fatima non ebbe scelta: si unì alle altre donne che raccoglievano patate nei campi vicini. Il lavoro spezzava la schiena, la paga era irrisoria. Fatima affidava i bambini alla madre, la cui salute andava deteriorandosi, finché una notte questa morì nel sonno.

Ora, Fatima non può più lasciare la casa. "Mi hanno abbandonato tutti", dice. Una volta ha provato a lasciare i bambini da soli, ma al suo rientro li ha trovati in cucina intenti a svitare la valvola della bombola del gas. L'unica opzione rimasta è chiedere aiuto ai vicini per badare ai bambini; ma gli amici sono pochi e prendersi cura dei sei bambini richiede una responsabilità che non tutti sono disposti ad accettare.

La piccola Anij ha solo quattro mesi e piange tanto, davvero tanto. Ha un'aria malaticcia e la sua unica fonte di nutrimento è un costoso latte in formula perchè Fatima non riesce ad allattare.

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La vista dalla casa di Fatima in inverno. Foto: WFP/Mazen Hodeib

"Ho un fornello ma lo uso solo per cucinare riso. Mangiamo due sacchetti di pane al giorno. Ci sazia, ma non è il massimo."

Fatima è disperatamente sola e fatica dall'alba al tramonto. Le sere, che una volta erano passate a progettare il futuro, ora sono occupate dalla preoccupazione che un altro bambino si possa ammalare il giorno dopo senza che lei abbia i soldi per le medicine.

Il locale dove vivono è desolante. Buio, misero e infestato dagli scarafaggi che, muovendosi veloci, danno l'impressione che anche il pavimento si muova. Non c'è il frigorifero, il sole estivo e l'umidità rovinano rapidamente il cibo. Su un ripiano c'è mezzo barattolo di salsa di pomodoro e per terra una bottiglia d'olio. Non c'è traccia di altro cibo in casa.

"Ho un fornello, su cui cucino solo riso. Mangiamo due sacchetti di pane al giorno. Ci sazia, ma non è il massimo", spiega Fatima.

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140.000 siriani in Libano ricevono sostegno tramite denaro. Foto: WFP/Ziad Rizkallah

Fatima sa bene che Anij non riceve la nutrizione di cui ha bisogno. Ci implora di confrontare le sue gambe con quelle del bambino di quattro mesi della porta accanto che, a quanto pare, assomiglia ad un "vero bambino".

Fatima sta risparmiando denaro per sostituire il tetto che non resisterà ad un altro inverno. All'inizio di quest'anno, due forti tempeste hanno colpito l'abitazione e Fatima ha paura che, senza le riparazioni, la famiglia rimarrà senza casa.

Il WFP supporta la famiglia con un aiuto in denaro che Fatima preleva da un bancomat. È lei a decidere dove e come spenderlo. Con un debito di 1.000 dollari al negozio locale, 120 dollari per l'affitto mensile, 20 dollari di spese per il trasporto scolastico e sette bocche da sfamare, questi soldi, per quanto vitali, non sono abbastanza.

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Il 34% dei rifugiati siriani vive in strutture precarie o non permanenti. Foto: WFP/Ziad Rizkallah

Per le famiglie più vulnerabili in Libano, come quella di Fatima, la sopravvivenza è possibile solo grazie a generose donazioni in denaro a favore del WFP, perchè possa continuare ad assistere chi ha più bisogno nei loro momenti difficili.

Wafaa, la prima figlia di Fatima, ha ormai sette anni, gli stessi del conflitto. Frequenta la scuola, ma i suoi pensieri sono altrove. Aspetta che un giorno ritorni suo padre, con il televisore nuovo. Poco altro la interessa.

Leggi di più sul lavoro del WFP per l'assistenza alimentare alle famiglie in difficoltà.

DONA ORA per aiutare le donne come Fatima e i bambini vittime dei conflitti.