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Shock climatici e crisi alimentari: il “New Normal” che affama la Somalia

Articolo di Eugenio Dacrema, Emergency officer WFP, scritto e pubblicato sul sito dell'l'ISPI. Link all'articolo in originale in basso.
, Eugenio Dacrema
two man standing in front of a house
Foto: WFP/Geneva Costopulos

Ancora una volta, la Somalia potrebbe essere a rischio carestia. Un ulteriore effetto di quello che, nel gergo del settore umanitario viene definito “the new normal”, la nuova normalità. Fino a pochi anni fa, infatti, shock climatici come inondazioni, siccità, e tifoni erano fenomeni che nella maggior parte del mondo venivano annoverati tra gli avvenimenti possibili ma improbabili, a cui, a seconda dei paesi e delle regioni, poteva capitare di assistere una o due volte in una generazione.

Ma da quasi due decadi l’uso dell’aggettivo “improbabile” per descrivere questi fenomeni ha perso progressivamente significato fino a diventare superfluo, se non errato: nella nuova normalità che viviamo oggi, infatti, gli shock climatici ad alta intensità ed impatto per la presenza umana sono diventati fenomeni altamente probabili, se non addirittura comuni, in aree sempre più estese del nostro pianeta. Lo abbiamo visto, ad esempio, in Pakistan, dove in pochi mesi si è assistito a una ondata di calore anomala che ha colpito il paese insieme alla vicina India e, poco dopo, alle improvvise inondazioni che hanno sommerso oltre un terzo del territorio nazionale. Oppure in paesi africani come Sudan e Sud Sudan, ormai ogni anno colpiti con diversa intensità da inondazioni spesso letali per migliaia di persone, e in Centro America, sempre più spesso vittima di uragani di grandi dimensioni.

Ma forse nessuna regione rappresenta questa nuova normalità come il Corno d’Africa oggi. Dopo quattro anni consecutivi di siccità, e un quinto previsto in arrivo, verrebbe infatti lecito domandarsi se non sia oggi questa la “normalità” e se non sia ormai divenuto eccezionale assistere a una stagione delle piogge simile a quelle un tempo considerate comuni.

Un tale quesito non è solo cruciale per la sicurezza alimentare delle popolazioni residenti e per quelle organizzazioni come il World Food Programme (WFP) che si occupano di sicurezza alimentare nel mondo. Dopo cinque anni consecutivi, l’impatto di una siccità assume infatti risvolti che vanno ben oltre la stretta scarsità di cibo. Esso va infatti a investire la sostenibilità stessa di modelli di società ed economie locali sopravvissuti per secoli e che oggi si trovano a dover fare i conti con un territorio e un clima in rapido cambiamento. Una situazione che assume riflessi estremamente concreti per le istituzioni locali, che si trovano a fare i conti con una disoccupazione cronica in aree dove l’agricoltura rappresenta da sempre il settore di impiego per la grande maggioranza della popolazione. O per i governanti di paesi già spesso caratterizzati da quadri macroeconomici molto fragili, e che da anni si trovano a dover reperire risorse aggiuntive per le importazioni di generi alimentari al fine di far fronte a una produzione interna ridotta ai minimi termini, consolidando così una dipendenza dall’estero che diventa fonte di estrema vulnerabilità economica in tempi di prezzi internazionali alle stelle come quelli di oggi.

Il “New Normal” della Somalia 

Nonostante in gran parte degli stati del Corno d’Africa gli shock climatici di questi anni abbiano esacerbato le fragilità socioeconomiche e politiche locali, forse nessun paese come la Somalia rappresenta l’impatto drammatico che tali shock possono avere su un territorio già caratterizzato da alti livelli di povertà e dalla presenza di conflitti di lungo corso. Tra gli stati più poveri dell’Africa, con il 61 percento della popolazione che vive con meno di 1,9 dollari al giorno, fin dall’indipendenza la Somalia si è caratterizzata per la grande instabilità politica, sfociata dagli anni Novanta in numerosi conflitti civili a livello locale e nazionale. Da metà degli anni Duemila, inoltre, il paese si trova a fronteggiare l’insorgenza del gruppo integralista  islamico Al-Shabaab, che a fasi alterne è stato in grado di estendere il proprio controllo su aree consistenti del Paese.



Un tale quadro caratterizzato da estrema povertà e fragilità istituzionale ha reso il paese sostanzialmente incapace di approntare misure efficaci per reagire a potenziali emergenze, e quindi particolarmente vulnerabile agli effetti degli shock climatici di questi ultimi anni. Ciò è diventato drammaticamente evidente durante la carestia del 2011 e 2012, quando l’impatto di due anni consecutivi di siccità portò alla morte di oltre 250 mila persone. In quell’occasione l’Integrated Food Security Phase Classification (comunemente noto come IPC), l’iniziativa multilaterale lanciata nel 2004 da alcune agenzie dell’ONU per raccogliere e classificare efficacemente le informazioni sulla sicurezza alimentare nelle aree di crisi, ebbe sufficienti dati per lanciare l’allarme internazionale a crisi ormai inoltrata, quando si stima che metà delle vittime complessive di quella carestia avesse già perso la vita. Il massiccio e repentino intervento internazionale che ne seguì riuscì però ad arginare la crisi, evitando milioni di ulteriori vittime.



2022 ancora a rischio carestia



Una dichiarazione ufficiale di carestia è, naturalmente, una cosa molto seria, e implica l’attivazione massiccia delle risorse economiche e organizzative delle Nazioni Unite e della comunità internazionale. I criteri includono la presenza in una determinata area di almeno il 20 percento di nuclei famigliari in “estrema mancanza di cibo” (ovvero l’impossibilità di accedere a un pasto per una intera giornata per più di un giorno alla settimana), la presenza di almeno il 30 percento di minori che soffrono di malnutrizione acuta e la morte per inedia, o da malattie causate dall’inedia, di almeno 2 persone ogni 10 mila abitanti.



Per questo la decisione di dichiarare ufficialmente una carestia non può essere presa alla leggera e può essere emanata solo dopo un attento esame dei dati e delle informazioni disponibili da parte di una commissione apposita di esperti detta Famine Review Committee (FRC). Per evitare che tale raccolta ed elaborazione di informazioni comporti che gli appelli alla mobilitazione internazionale arrivino nuovamente a crisi inoltrata, come avvenuto nel 2011, nell’ultima decade il sistema IPC ha stabilito un sistema di early warning (allerta precoce) in grado di utilizzare i dati al momento disponibili per proiettare con ragionevole probabilità il possibile concretizzarsi di una situazione di carestia nei mesi successivi. Ciò al fine di dare la possibilità alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di poter organizzare e approntare per tempo le misure necessarie.



È esattamente questo ciò che sta avvenendo oggi con la Somalia, dove le risorse straordinarie messe a disposizione dal 2011 dalla comunità internazionale per il sostegno umanitario della popolazione appaiono sempre meno sufficienti a far fronte a una situazione senza precedenti come quella di oggi, con quattro anni consecutivi di siccità a cui sembra ormai inevitabile che se ne aggiunga un quinto. La seconda stagione annuale delle piogge (Deyr), che nel paese corrisponde al periodo tra ottobre e novembre, sembra infatti destinata a essere nuovamente estremamente contenuta in termini di precipitazioni, aggravando una situazione umanitaria già drammatica. A essere particolarmente a rischio sono i distretti di Baidoa e Bukhaba, nella regione somala del Bay.



Nel frattempo, nonostante la relativa tranquillità con cui si sono svolte le elezioni politiche lo scorso maggio, le istituzioni statali rimangono estremamente deboli, incapaci di far fronte seriamente a emergenze di questa portata. Infine, gli estremisti islamici di Al-Shabaab hanno oggi il controllo di ampie aree nella regione del Bay, aggravando ulteriormente le difficoltà per l’accesso delle organizzazioni umanitarie.



Carestia anche di fondi



Ma a rendere la situazione davvero drammatica, secondo l’analisi di IPC, è la significativa diminuzione dei fondi a disposizione delle organizzazioni umanitarie operanti nel paese prevista a partire da ottobre, in particolare del WFP, che da solo fornisce oltre l’80 percento del sostegno alimentare alla popolazione. L’azione del WFP in Somalia non ha già da tempo sufficienti risorse per raggiungere tutti coloro che si trovano in stato di bisogno. Secondo le ultime proiezioni dell’IPC per il periodo ottobre-dicembre 2022, nel paese vi sarebbero circa 6,7 milioni di persone in insicurezza alimentare. Tra questi, 301 mila sarebbero a rischio di vera e propria carestia. In reazione a tali cifre, ad agosto il WFP ha raddoppiato, rispetto ad aprile, la capacità delle sue operazioni, fino a raggiungere 4,4 milioni di persone e riuscendo così a portare l’aiuto necessario almeno a coloro che si trovano nelle condizioni più gravi. Tale sforzo, però, non può essere sostenuto oltre ottobre a causa dei fondi disponibili ad oggi.



Tale discrepanza tra bisogni e fondi disponibili non è però dovuta a una diminuzione di quest’ultimi in senso lato. Al contrario, negli ultimi anni la solidarietà internazionale verso le crisi alimentari, compresa quella somala, è andata infatti aumentando. Dietro questo divario vi è quindi purtroppo la crescita a un ritmo significativamente maggiore del numero di persone bisognose di assistenza umanitaria. Pandemia, shock climatici sempre più frequenti, e ora l’aumento di materie prime agricole ed energetiche hanno infatti portato a un aumento repentino dell’insicurezza alimentare in tutto il mondo, a cui la solidarietà internazionale sta facendo fatica a tenere il passo.



Nel 2022, WFP ha ricevuto finora dai donatori internazionali la cifra di 9,47 miliardi di dollari. Essi però non sono sufficienti a coprire le necessità di centinaia di milioni di persone stimate in insicurezza alimentare nel mondo. La Somalia riproduce in piccolo questa dinamica: nonostante la solidarietà internazionale verso il Paese sia andata crescendo significativamente dalla carestia del 2011, il raddoppio delle operazioni di WFP nel paese resosi necessario quest’anno a causa delle condizioni climatiche estreme sta portando a un rapido esaurimento dei fondi disponibili. Secondo le stime al momento disponibili, WFP ha bisogno di ottenere dalla comunità internazionale 367 milioni di dollari aggiuntivi per riuscire a prolungare le proprie operazioni all’attuale regime fino a febbraio 2023, con la speranza che nel frattempo la situazione nel Paese veda almeno un lieve miglioramento.



La concomitanza di questi fattori di deterioramento – l’aumento significativo di persone a rischio umanitario causato da siccità e instabilità politica e le risorse insufficienti a disposizione delle organizzazioni umanitarie rispetto ai bisogni del paese – ha spinto IPC a dichiarare ufficialmente il rischio di carestia in Somalia a partire dall'autunno, con possibili ulteriori aggravamenti nella prima metà del 2023. In pericolo, secondo l’allarme lanciato dall’organizzazione, ci sarebbero oltre il triplo delle persone del 2011. Le Nazioni Unite hanno prontamente lanciato una campagna di raccolta fondi presso la comunità internazionale al fine di limitare l’impatto di almeno il secondo di tali fattori. Nonostante alcuni primi riscontri positivi, il gap di risorse da colmare resta purtroppo significativo, mentre il tempo è ormai agli sgoccioli.

 

Articolo pubblicato sul sito dell'ISPI. 

 

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