Sahel centrale: cosa significa vivere nella continua insicurezza. Conversazione con una analista della sicurezza.
Nei paesi del Sahel centrale (Burkina Faso, Mali e Niger), i conflitti e la violenza stanno aggravando gli effetti del cambiamento climatico, con conseguenze sulla sicurezza alimentare della popolazione. Il World Food Programme assiste 1,4 milioni di persone nei tre paesi — 950.000 dei quali sono stati sfollati a causa dei conflitti — con un'assistenza alimentare di vitale importanza. Il WFP prevede di espandere le operazioni per assistere 4,8 milioni di persone.
Negli ultimi mesi, le organizzazioni umanitarie hanno ripetutamente suonato l'allarme sul peggioramento della sicurezza in tre paesi del Sahel centrale — Burkina Faso, Mali e Niger. Come si traduce questo, però, per i civili e per il personale umanitario sul campo? Lo abbiamo chiesto a Caroline Bantchev, una security analyst che aiuta il WFP e il personale sul campo nella regione. Ecco cinque cose che abbiamo scoperto.
1. "Non c'è giorno senza notizie di un attacco"
La diffusione di gruppi armati non statali, le azioni di contro-insurrezione delle forze governative e dei partner internazionali, sommata alla creazione di gruppi armati di autodifesa nei villaggi — in particolare nel Mali centrale e nel Burkina Faso — hanno creato un mix di conflitti che sta inghiottendo la maggior parte della regione del Sahel. La violenza ha il suo epicentro nella cosiddetta "area dei tre confini" tra Mali, Burkina Faso e Niger, e si sta diffondendo rapidamente. Le tensioni etniche esistenti sono state aggravate dalla crescente insicurezza.
"In sostanza, non passa giorno senza che venga segnalato un attacco a un posto di guardia", dice Bantchev. "La modalità degli attacchi si è evoluta. Prima erano in pochi ad attaccare i posti di blocco più isolati, per poi ritirarsi. Negli ultimi mesi, tuttavia, abbiamo assistito ad attacchi altamente coordinati che hanno avuto un pesante impatto sulle forze di sicurezza. L'ultimo grande attacco al confine tra Mali e Niger nel solo mese di gennaio ha causato la morte di almeno 89 soldati nigeriani".
Secondo le testimonianze di chi li ha vissuti, in un tipico attacco i gruppi prendono d'assalto una base militare da diverse angolazioni, con motociclette e camionette che trasportano centinaia di persone armate. I gruppi armati hanno iniziato anche ad usare le autobombe per sfondare l'ingresso di una base militare.
2. "I civili sono sempre più presi di mira"
In tutti e tre i Paesi le forze di sicurezza sono state fino a poco tempo fa l'obiettivo principale degli attacchi. Tuttavia, con l'evolversi del conflitto — anche con il coinvolgimento delle milizie locali e la violenza diretta verso specifiche etnie e gruppi — il numero delle vittime civili sta aumentando drammaticamente.
"I civili erano inizialmente "danni collaterali" — dettato dal trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, durante un attacco alle forze di sicurezza o un'operazione di contro-insurrezione", dice l'analista. "Ma sempre più spesso vediamo civili presi di mira, intimiditi, molestati o uccisi perchè accusati di schierarsi dalla parte opposta".
In Burkina Faso ci sono state uccisioni mirate alle comunità religiose, con attacchi alle chiese ma anche ai sacerdoti ritenuti non sufficientemente "radicali". I gruppi armati prendono di mira anche i rappresentanti dello Stato e i capi locali. Questo avviene soprattutto perché si punta a suscitare tensioni tra le comunità, favorendo la destabilizzazione per proiettare l'immagine di un governo debole, incapace di fornire sicurezza.
Anche i rapimenti sono aumentati. Vengono presi di mira anche gli occidentali, ma sono soprattutto gli abitanti del posto che vengono rapiti per chiedere un riscatto, o come forma di intimidazione. Si ritiene che i rapimenti di molti capi villaggio locali nel Niger occidentale siano un modo per generare paura e impedire alla popolazione di protestare o di cercare aiuto contro i gruppi armati — le persone sono state liberate una volta pagato il riscatto o uccise.
3. "Non si fidano più nemmeno dei loro vicini"
L'insicurezza si è rapidamente tradotta in paura quotidiana. La gente vive nella costante paura che un gruppo armato possa attaccare il proprio villaggio e uccidere i propri figli. Le voci su potenziali, reali o falsi attacchi in comunità lontane si diffondono a macchia d'olio.
"La gente non sa di chi fidarsi. Non sanno a chi credere", dice Bantchev. "Le persone che erano in buoni rapporti con i loro vicini ora hanno paura e puntano il dito l'uno contro l'altro. Questo ciclo di odio che si è diffuso è probabilmente una delle caratteristiche più pericolose della tragedia che si sta verificando nel Sahel".
4. "I villaggi si stanno svuotando"
I villaggi delle zone colpite dalla violenza si stanno svuotando. Più di 950.000 persone sono ora sfollate in Burkina Faso, Mali e Niger. Hanno lasciato i loro campi e ora dipendono o dall'aiuto delle comunità ospitanti — anche loro in difficoltà— o dall'assistenza governativa e umanitaria, laddove disponibile. Gli insegnanti sono stati ripetutamente intimiditi e minacciati, costringendo molti a fuggire, mentre le scuole sono chiuse. In Burkina Faso, 2.000 scuole sono state chiuse, mettendo a rischio l'istruzione di oltre 300.000 bambini.
5. "Un destino terribile anche per chi resta"
Le persone che rimangono indietro — spesso i più vulnerabili come gli anziani o le famiglie con bambini piccoli — si trovano ad affrontare un contesto difficile. Lo scarso accesso per le organizzazioni umanitarie significa che spesso sono tagliate fuori dagli aiuti e soggette a una continua estorsione per mano di gruppi armati e milizie. Durante le operazioni di contro-insurrezione, sono spesso sospettati di avere rapporti di collaborazione con i gruppi armati.
Misure di sicurezza, come il divieto di usare le motociclette in alcune zone del Burkina Faso, del Mali e del Niger, rendono la vita ancora più ardua. "Le motociclette sono utilizzate dai gruppi armati, ma sono anche il principale mezzo di trasporto per gli abitanti dei villaggi per raggiungere mercati, fattorie, ospedali", aggiunge Bantchev.
Al di là di questi problemi quotidiani, c'è la preoccupazione per le scene di violenza a cui sono esposte le giovani generazioni del Sahel. Caroline Bantchev avverte: "Un ragazzo o una ragazza per i quali la violenza è diventata una parte normale della vita rischia di creare in lui o lei la percezione che il proprio destino possa essere determinato solo con la violenza".