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Non c’è fine alla fame nel mondo senza una fine dei conflitti

Rendiamo il cibo uno strumento per la pace, è l'esortazione del Direttore esecutivo del WFP
, Simona Beltrami, WFP

Nel celebrare la Giornata Internazionale della Pace, che ricorre il 21 settembre, David Beasley, Direttore esecutivo del World Food Programme (WFP), non ha mezzi termini: "C'è solo una strada percorribile: senza la fine dei conflitti, non si potrà porre fine alla fame".

Con il mondo sull'orlo di una pandemia di fame, per l'impatto del coronavirus che minaccia quasi di raddoppiare fino a 270 milioni il numero di persone che soffrono la fame acuta, sono coloro che vivono nelle aree colpite dai conflitti a soffrire di più.

Secondo il Rapporto Globale 2019 sulle crisi alimentari (Global Report on Food Crises 2019), circa 74 milioni di persone che soffrono la fame acuta vivono in 21 paesi colpiti da conflitti e insicurezza, così come quasi l'80 per cento dei bambini che soffrono di deperimento o con deficit di sviluppo a causa della malnutrizione cronica.

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Nello Yemen dilaniato dalla guerra, quasi il 50 per cento dei bambini soffre di deficit di sviluppo a causa della malnutrizione. Foto: WFP / Mohammed Awadh

Destano particolare preoccupazione alcune zone dello Yemen, del Sud Sudan, della Nigeria nord-orientale e la parte occidentale del Sahel centrale. Se, quest'anno, una azione collettiva può aver scongiurato la carestia, per il 2021 il futuro è incerto.

Ormai nel suo quinto anno di conflitto, lo Yemen conta 40 diverse linee del fronte, come mai accaduto prima d'ora. Con un'economia al collasso e l'incapacità delle fragili infrastrutture sanitarie del paese di far fronte alla diffusione del coronavirus, questa escalation del conflitto sta spingendo il paese sull'orlo della catastrofe.

"Nel 2018, abbiamo lanciato l'allarme sullo Yemen che stava scivolando verso la carestia, ed è stato solo grazie all'azione decisiva dei donatori e delle agenzie umanitarie che abbiamo potuto impedire che ciò accadesse", dice Beasley. "Due anni dopo, tutti i miglioramenti duramente ottenuti sono stati spazzati via e il paese è ora in bilico".

Ce lo dimostra la toccante testimonianza di Amina, una bambina di dodici anni, cosa significhi vivere in una zona di guerra. La famiglia di Amina è stata costretta a fuggire dalla città natale di Hodeidah per cercare rifugio nella capitale dello Yemen, Sanaa. "La guerra può colpirti in molti modi. Non sono solo le bombe. Le persone soffrono quando le loro case vengono distrutte. La gente muore di fame e non c'è abbastanza acqua", aggiungendo: "La cosa che mi preoccupa di più è che la guerra continuerà anche nel futuro. Sarà il mio futuro."

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"Avevo sette anni quando è scoppiata la guerra. Non mi aspettavo che ciò accadesse. Tutto è cambiato. Abbiamo avuto paura ", ricorda Amina, una bambina yemenita di 12 anni. Foto: WFP / Mohammed Awadh

"Il sogno della giovane Amina è che i combattimenti finiscano e che lo Yemen diventi di nuovo un luogo di pace", dice Beasley. "E' ciò che sento ogni volta nei miei viaggi nei paesi dilaniati dalla guerra. Le persone mi raccontano delle loro preoccupazioni di non avere abbastanza cibo per le loro famiglie, ma spesso quello che chiedono è la pace — senza di essa, sanno che non saranno in grado di coltivare le terre, mandare i figli a scuola o costruire un futuro per le loro comunità."

"Dobbiamo agire ora per costruire la pace e porre fine alle violenze e ai conflitti", continua Beasley, osservando che "questo è l'unico modo per evitare che milioni di donne, bambini e uomini cadano nella morsa della fame, ed evitare al mondo spese in miliardi di dollari in assistenza umanitaria alimentare."

Negli ultimi anni, più dell'80 per cento delle risorse richieste negli appelli umanitari delle Nazioni Unite hanno riguardato operazioni in situazioni di conflitto.

Un'arma da guerra o uno strumento per la pace?

La mancanza di cibo a causa dei conflitti è un fatto consolidato. Ma è vero anche il contrario. La scarsità di cibo può soffiare sul fuoco di esistenti tensioni sociali, alimentare i risentimenti e sostenere le cause di gruppi estremisti, innescando o aggravando i conflitti.

Ancor peggio, nonostante il divieto previsto dal diritto internazionale umanitario (la legge che regola la condotta dei conflitti), l'uso del cibo come arma di guerra è ancora diffuso.

"Il cibo, tuttavia, può essere un potente strumento per costruire la pace", afferma Beasley.

Concentrandosi sul migliorare la vita di milioni di persone, le attività di sviluppo del WFP possono aiutare a ridurre le tensioni che potrebbero degenerare in conflitti. Un efficace esempio sono i programmi di Cibo in cambio di beni strumentali, in cui i partecipanti ricevono assistenza per i propri bisogni alimentari mentre costruiscono o riabilitano le risorse della comunità come strade, riserve idriche o sistemi di irrigazione.

In Kirghizistan, dove le controversie sulle risorse naturali al confine meridionale con il Tagikistan sono ampiamente riconosciute come fonte di conflitto, l'impegno del WFP insieme alle comunità per la riabilitazione dei canali di irrigazione e delle condutture nei territori contesi ha portato a un aumento dell'approvvigionamento idrico e della produttività agricola, che a sua volta ha contribuito a prevenire i conflitti tra le comunità per l'acqua.

In alcuni Paesi, ex combattenti partecipano a progetti in agricoltura e in altri programmi generatori di reddito, che li accompagnano nel loro reintegro nella società promuovendo anche un più forte senso di comunità. Esempi di ciò si trovano in Colombia, nella regione del Pool del Congo e, più recentemente, nella regione autonoma di Bangsamoro nelle Filippine, in conflitto ma dove gli ex combattenti sono incoraggiati a diventare guardie forestali e ad unirsi alle attività agricole sotto l'egida congiunta delle autorità locali e del WFP.

"La pace e la sicurezza alimentare sono strettamente collegate", ha detto Beasley. "Senza un'azione politica che ponga fine alle guerre e promuova la stabilità, e un'azione dal basso per sradicare alcune delle cause profonde dei conflitti, è fuori questione che si riesca a raggiungere l'obiettivo Fame Zero".

Articolo originale, in inglese, scritto da Simona Beltrami.