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La siccità in Somalia e lo spettro della carestia

, Emanuela Cutelli
mother holds baby on her back_Somalia
Il piccolo Abdi e sua madre Ambiyo in attesa di ricevere assistenza dal WFP dopo aver camminato per un mese per raggiungere il centro della salute a Dolow. La famiglia ha perso una bambina nel viaggio. Foto: WFP/Samantha Reinders

La siccità si vede bene dall’alto. Fiumi e affluenti si allungano sul territorio somalo, ma sono senza acqua, grigi, il loro letto pieno di crepe, riarsi dal sole. Siamo nella stagione delle piogge, ma senza piogge. E anche se piovesse, sarebbe troppo poco, e troppo tardi.

Tradizionalmente la stagione delle piogge permette due raccolti all’anno, ma sempre più spesso le piogge mancano, e quando ci sono, sono di breve durata e di poco impatto. Dal 2008 la siccità ha colpito ogni anno in Somalia, nel 2011 il Corno d’Africa ha vissuto una diffusa carestia che, nel paese, ha mietuto oltre 250.000 vittime. Eppure, fino a pochi anni fa, le famiglie riuscivano a fare fronte, anche se con difficoltà, a piogge incostanti e quindi a scarsità di cibo – con generi alimentari messi da parte, o vendendo capi di bestiame per poter acquistare cibo e acqua, fino alle piogge successive. Ora non più. Ricompare lo spettro della carestia in Somalia, che vive le peggiori condizioni degli ultimi quaranta anni, con quattro stagioni consecutive di piogge mancate.

Le stime sono impressionanti: oltre 7 milioni di somali (circa la metà della popolazione complessiva) sono in stato di insicurezza alimentare acuta, 1,5 milioni di bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione acuta, 386.000 di loro in forma grave e rischiano la vita senza cure urgenti. Nei primi tre mesi del 2022, la siccità ha costretto oltre mezzo milione di persone ad abbandonare i propri villaggi in cerca di aiuto, spesso camminando giorno e notte, con bambini piccoli e neonati.

Come ha fatto Ambiyo, una madre di 24 anni, arrivata sfinita al campo di Kabasa, nella cittadina di Dolow, sulle rive del fiume Dawa, al confine tra Somalia ed Etiopia, dove ha trovato assistenza in un centro per la salute, finanziato dal WFP, per suo figlio Abdi. O Mido, la cui bambina Fatun, di un anno, viene curata nel centro. “Abbiamo lasciato casa perché non era rimasto più niente, solo fame e siccità”, racconta Mido che, come altri madri, hanno perso uno o più bambini nel viaggio della speranza verso un centro per la salute.

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La piccola Fatun, di un anno, viene visitata per controllare l’eventuale stato di malnutrizione. La famiglia riceve cibo per migliorare le condizioni di salute bambina e aiutarla ad assumere elementi nutritivi. Foto: WFP/Samantha Reinders

A questo contesto, si aggiunge l’insicurezza causata dai gruppi armati, che terrorizzano la popolazione e mettono ulteriormente in pericolo vite umane. Un’ulteriore conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che se si mettono insieme conflitti, shock climatici e instabilità economica, il risultato è la fame per milioni di persone.

People walk in a barren land leaving their villages_Somalia
Famiglie somale sono costrette ad abbandonare le proprie case a causa di una siccità devastante, con il record di quattro consecutive mancate stagioni delle piogge.

In un anno dalla fame senza precedenti, il WFP sta facendo tutto il possibile per assistere chi ha fame. Non è facile e i finanziamenti scarseggiano: servono 300 milioni di dollari, per esempio, per continuare gli interventi in Somalia per i prossimi sei mesi ed evitare una catastrofe umanitaria. 

 

(Articolo pubblicato su The Map Report)

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