Skip to main content

Caro papà

Lettera dal campo rifugiati di Kutupalong
, WFP

Mi chiamo Hafsa Aktar, sono una Rohingya dello Stato Rakhine, Myanmar. Voglio raccontarvi la mia storia di rifugiata e condividere la lettera che ho scritto a mio padre, che non è qui con noi.

1*2awZfyhDVbNGNNUqouBanA.jpeg
Hafsa Akter racconta la sua storia durante un corso di formazione per Storytellers del WFP. Foto: WFP/Claire Nevill

Da un po' vivo, insieme alla mia famiglia, nel campo rifugiati di Kutupalong, nel distretto di Cox's Bazar, in Bangladesh: il più grande campo rifugiati al mondo. Siamo in nove in famiglia. Otto di noi sono riusciti a fuggire insieme a milioni di Rohingya sfollati dopo il 25 agosto 2017, mentre mio padre è rimasto in patria. Siamo stati costretti a separarci da lui. Abbiamo però la fortuna di avere una madre amorevole e che si prende cura di noi. Coltiviamo ancora la speranza di tornare, un giorno, tutti insieme.

Siamo stati cacciati dal nord dello Stato di Rakhine per nessuna ragione in particolare. Abbiamo perso tutti i nostri averi, la terra, la casa. La notte del 25 agosto 2017, abbiamo sentito dei colpi di arma da fuoco nei pressi del villaggio. La mattina successiva, abbiamo visto che molte case erano state bruciate. Continuavamo a sentire il rumore dell'artiglieria pesante, sempre più forte. Hanno ucciso alcuni abitanti del mio villaggio e anche di quelli vicini. E' stato incredibilmente terribile assistere a una scena del genere.

Abbiamo deciso di abbandonare la casa. Siamo fuggiti in altri villaggi vicini, dove ci siamo nascosti per quasi una settimana, cercando di capire se potevamo tornare a casa nostra. Pioveva a dirotto e cercavamo un posto sicuro dove stare, ma le minacce erano continue. Alla fine, abbiamo deciso di seguire gran parte della nostra comunità. Dopo quasi 10 giorni di cammino, siamo arrivati nella cosiddetta terra di nessuno o terra zero, al confine tra il Myanmar e il Bangladesh. E' stato un viaggio lungo, abbiamo attraversato colline, catene montuose, molti ruscelli e fiumi a piedi nudi, senza ombrelli e senza cibo a sufficienza.

A differenza di migliaia di famiglie che non sono riuscite a portare nulla con sé, la mia famiglia è riuscita fortunatamente a portare vari documenti, come la carta di registrazione nazionale. Arrivati in Bangladesh è stato difficile trovare un posto dove ripararsi, ma ora abbiamo un piccolo riparo fatto di teloni. Siamo riusciti a fuggire dalle scene terribili nel Myanmar. E' stato un incubo indimenticabile, per me, per la mia famiglia e per molti altri. E' stato terribilmente triste, hanno bruciato tutti i miei libri di scuola e altri libri nella nostra piccola biblioteca domestica e distrutto il televisore, il computer, il portatile, la radio e gli smartphones.

Non staremo qui per sempre, vogliamo tornare a casa nostra in Myanmar. Abbiamo il diritto di essere protetti come rifugiati e come esseri umani dalla comunità internazionale, dai leader mondiali e da tutte le società del mondo, compreso il governo della Repubblica popolare del Bangladesh. Esortiamo la comunità internazionale a contribuire alla salvaguardia dei diritti fondamentali e a sviluppare soluzioni durature e sostenibili che ci garantiscano un luogo sicuro che possiamo chiamare casa dove possiamo costruire un futuro migliore.

Voglio essere una Storyteller del WFP perché desidero raccontare la mia storia, perchè il mondo sappia chi sono.

Dopo il corso di formazione per Storyteller del WFP ho imparato a scrivere lettere, intervistare le persone e raccontare una storia. Ecco una lettera che ho scritto a mio padre a casa:

Caro papà,

Assalamualaikum. Spero che tu sia stia bene e sia al sicuro nella nostra madrepatria. Mi mancate sia te che la nostra terra, il Rakhine. Ricordo tutte le cose che ho lasciato nella mia vecchia casa. Non preoccuparti per la tua famiglia, stiamo tutti bene.

Papà, so che hai molta più esperienza di me sulla vita da rifugiato. Fa molto caldo qui a causa della deforestazione nei campi. Questo tetto di plastica non resiste alle alte temperature. Qui viviamo in una casa piccola. Se dovessimo avere due ospiti, non potremmo offrire loro un posto per la notte. Viviamo in un posto molto affollato. I bambini non hanno un'istruzione formale. Non siamo liberi di muoverci come vogliamo all'interno del campo. Qui ci sono molte strutture sanitarie, ma non possiamo accedervi in caso di emergenza perché sono troppo lontane da dove stiamo noi. Non c'è sicurezza. Se c'è vento, i nostri rifugi rischiano di essere spazzati via. Soffriamo a causa di molte cose. Non è una vita facile per i tuoi figli, perché qui non possiamo studiare. Come sai, i tuoi figli hanno molte ambizioni, ma qui non possiamo metterle a frutto.

Ma non preoccuparti per noi, papà. Resistiamo e sopportiamo tutto. Questa è la nostra vita e dobbiamo lottare. La maggior parte della comunità internazionale sta cercando di aiutarci.

Papà, vorrei vedere il tuo viso e vorrei averti davanti per parlarti. Non so perché ma non riesco a trattenere le lacrime mentre ti scrivo questa lettera. Mi scivolano sul viso e cadono giù.

Spero e prego sempre per una cosa soltanto, potere tornare nel nostro paese d'origine, il Myanmar. Spero di poterti incontrare presto nel Rakhine, nella nostra madrepatria.

La tua amata figlia

Hafsa Akter

1*l8XE8YhV-LD6IzQvjtdvPQ.jpeg
Hafsa Akter condivide la sua storia fotografica realizzata su una famiglia con a capo una madre single. Foto: WFP/Hugh Rutherford

La mia storia fotografica: Questa è una famiglia vulnerabile senza un capofamiglia che la mantenga.

Il marito è stato ucciso dall'esercito su un ponte in Myanmar, mentre fuggiva dal loro villaggio in fiamme. Sono arrivati in Bangladesh dopo le violenze del 25 agosto 2017 e ora vivono nel campo di Kutupalong.