Violenza di genere: stop all'impunità
di Sheila Sisulu, Vice direttore escutivo del Programma Alimentare Mondiale
08-03-07 (articolo) - La vita di Annie era serena. Aveva studiato Agraria all'università e suo marito aveva un ottimo lavoro. Vivevano con i loro figli in una casa di quattro stanze a Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo. Poi un giorno suo marito dovette scappare per mettere in salvo la pelle. Cinque soldati governativi, venuti a cercalo, violentarono Annie e le dissero che sarebbero tornati ad ucciderla. Annie non perse tempo. Prese i suoi figli e se ne andò in cerca di un pò di pace. Nella sua fuga fu fermata dai ribelli che la violentarono a loro volta usando anche delle bottiglie. Solo dopo molto, riuscì a raggiungere un campo profughi. Viveva in una casa di fango con i suoi nove figli.
La storia di Annie è abbastanza comune. Volti, particolari, luoghi, nomi, possono cambiare ma con una costante; quella della violenza contro donne e adolescenti, talvolta bambine.
La violenza di genere appartiene ad ogni continente ma nei paesi in via di sviluppo e, ancor più, in quelli attraversati dai conflitti essa è sempre più presente. Poco importano età e condizione sociale, l'importante è appartenere al genere femminile. Donne e ragazze di gruppi etnici e comunità sotto assedio sono, intenzionalmente colpite in quanto potenziali progenitrici del "nemico".
Nei 14 anni della guerra civile liberiana, il 40 per cento delle donne ha subito violenze. Metà di loro porta ancora i segni psichici e fisici di quell'esperienza. Molte, allontanate dalla propria comunità, sono costrette oggi a prostituirsi per sopravvivere il che le espone ancora di più a abusi e malattie sessualmente trasmittibili come l'HIV/AIDS.
Stupri sistematici, torture, schiavitù sessuale sono stati usati per terrorizzare e destabilizzare le comunità di tutto il mondo, da Haiti alla Repubblica Democratica del Congo a Myanmar.
Durante la lunga e sanguinosa guerra civile in Sierra Leone, migliaia di donne e ragazze, talvolta bambine di appena sette anni, sono state rapite e ridotte in schiavitù per essere usate sessualmente o come combattenti, obbligate a uccidere.
Nè la violenza contro le donne è una prerogativa dei tempi di guerra. Per molte la violenza coincide con la nascita e si chiama infanticidio. Per altre - seimila al giorno - inizia, invece, con le mutilazioni dei genitali femminili, una pratica culturale che si riscontra in molte parti del mondo, in particolare in Africa. Questa violenza precoce sul corpo femminile spesso è la prima di una serie di violenze che accompagnano la vita delle donne. Si calcola che almeno una su tre subisce abusi sessuali o psicologici: matrimoni precoci, rapimenti, prostituzione forzata, violenza domestica, sfruttamento delle vedove e ogni forma di discriminazione legalmente sancita. Se si tratta di donne incinte o molto giovani i rischi di subire violenza sono ancora maggiori.
Il primo passo per combattere tutto ciò è punire chi commette questi soprusi. Servono politiche attive dei governi, delle istituzioni, delle leggi che sanciscano i diritti delle donne. Soprattutto, bisogna colpire alla radice i fattori che contribuiscono alla violenza di genere; povertà, ignoranza, fame.
Serve agire subito. Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (PAM) da tempo ha messo in atto una politica che mette al primo posto le donne. Gli aiuti alimentari vengono dati direttamente a loro (e non ai mariti) per garantire che il cibo arrivi davvero a chi ne ha bisogno. Il PAM aiuta con il cibo le donne che vogliono seguire dei corsi di fomazione professionale. Come in Bangladesh dove la conquista di competenze professionali significa anche essere meno esposte alla violenza e più capaci di dire no a ogni forma di commercio sessuale.
In Liberia e nella Repubblcia Democratica del Congo, il PAM dà il cibo alle donne che sono ricoverate in ospedale a causa delle violenze subito per consentire loro di curarsi senza dover pensare alla sopravvivenza quotidiana. In Afghanistan e in altri paesi, il PAM favorisce la frequenza scolastica delle bambine non solo garantendo i pasti scolastici ma dando anche del cibo alle famiglie come incentivo alla scolarizzazione delle proprie figlie.
Si tratta di interventi che costruiscono lentamente un percoso al femminile, combattono la rassegnazione e dimostrano che è tempo, per tutti, di compiere atti concreti.