Il costo umano della guerra dei diamanti
Le conseguenze del decennale conflitto in Sierra Leone nei ricordi di Paul Arès
Un nuovo film, Blood Diamond, racconta come i proventi dell'industria dei diamanti in Sierra Leone abbiano alimentato il brutale conflitto che sconvolse il paese negli anni Novanta - anni in cui gli aiuti alimentari del PAM permisero a migliaia di civili, intrappolati dalla guerra, di sopravvivere.
Paul Arès racconta a Michelle Hough, del PAM, la sua esperienza nel paese come direttore regionale per l'Africa occidentale dell’agenzia per gli aiuti alimentari.
Quando Paul Arès si trovava a parlare con i mercanti di diamanti nei bar degli hotel in Sierra Leone, loro gli dicevano che trattavano in 'meloni e banane'.
“Si riferivano al colore dei diamanti grezzi”, dice Paul. “Ma, per me e molti altri, quei diamanti non erano gialli o arancioni, ma rossi del sangue della gente”.
L'ironia è che veniva usata una metafora alimentare anche se il cibo era molto difficile da trovare proprio in questo paese ricco di diamanti ma poverissimo per tutto il resto con una popolazione terrorizzata dai ribelli e costretta ad abbandonare le proprie case.
Niente di vivo
Durante la guerra civile, che durò circa un decennio, i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario mozzarono gambe e braccia, violentarono donne e uccisero decine di migliaia di persone nel corso dell'operazione soprannominata “Niente di Vivo”.
Paul racconta come i ribelli avevano deciso di concentrarsi in zone come il distretto di Kono, nel nordest del Paese, dove i diamanti erano tanti e facili da trovare essendo situati quasi in superficie.
“In pochi mesi, 250.000 persone che vivevano ad est del Paese fuggirono nella zona soprannominata 'Becco del Pappagallo', nella Guinea”, ricorda Paul, spiegando che altri rifugiati fuggirono in Liberia mentre molte persone abbandonarono le loro case per trovare rifugio in altre zone della Sierra Leone.
Un’enorme sfida
“I rifugiati vivevano nella giungla, in zone montagnose e con una fitta vegetazione, con pochissimo cibo. Era una sfida enorme per il PAM. I lanci aerei erano impossibili, così chiedemmo camion a sei ruote in grado di muoversi ovunque”.
Gli Stati Uniti donarono 25 veicoli a 10 ruote adatti a qualunque terreno. Furono vitali per trasportare razioni di miscela di mais e soya, grano bulgaro, olio vegetale, sale e zucchero ai rifugiati, molti dei quali erano gravemente malnutriti a causa di un lungo periodo di instabilità.
Una delle massime priorità fu quella di istituire un centro di alimentazione terapeutica in un campo di accoglienza nella giungla, principalmente per bambini malnutriti, alcuni dei quali ebbero bisogno di flebo mentre ad altri venne dato cibo arricchito con componenti altamente nutritivi.
Bambini soldato
Altri campi vennero aperti lungo il confine con la Liberia e nella Guinea del sud. Paul racconta che il vero orrore della guerra lo colpì durante una sua visita in questi campi, quando vide persone con gli arti mozzati dai ribelli. Queste persone erano completamente dipendenti dall’aiuto del PAM e di altre agenzie umanitarie.
Forse uno dei fenomeni più scioccanti della guerra civile nell’Africa occidentale, negli anni Novanta, fu l’uso di bambini soldato.
“Il modo in cui venivano formati nei ranghi del RUF li rese delle piccole e terrificanti macchine di morte”, spiega Paul.
Pifferai magici
I ragazzini, tra i 9 e i 19 anni, venivano rapiti dai ribelli o semplicemente si univano a loro perché non avevano altro da fare. Paul li descrive come dei ‘pifferai magici’, che attraevano altri bambini nei ranghi dei ribelli. A molti di loro fu chiesto di tornare nei loro villaggi per uccidere o mutilare i parenti rimasti.
Paul racconta che, una volta terminata la guerra, vide nei centri di riabilitazione questi bambini soldato con cicatrici scolpite nel cranio rasato. Gli fu spiegato che era dove i loro ‘fratelli grandi’ – i ribelli – iniettavano loro droghe per renderli ancora più aggressivi nei loro attacchi armati di AK47.
Sebbene la guerra in Sierra Leone sia terminata da circa 4 anni, il Paese sta ancora tentando di riprendesi dalla devastazione e la povertà è enorme. Nonostante il benessere che potrebbero dare i diamanti, la disoccupazione è alta e il paese si trova al 176esimo posto su 177 Paesi nell’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite.
La ricostruzione
La popolazione della Sierra Leone è ancora alla ricerca della pace e della stabilità e il PAM cerca di contribuire a questo processo con i programmi di alimentazione scolastica, con quelli di “di cibo in cambio di lavoro” e di “cibo in cambio di formazione professionale”.
Tuttavia, attualmente, il deficit nei finanziamenti ai progetti di ricostruzione del PAM in Sierra Leone, Liberia e Guinea è di 35 milioni di $ ed è difficile capire perché la Sierra Leone dovrebbe aver bisogno di aiuto se si considerano i milioni di dollari che valgono le gemme racchiuse nella terra che calpestano i suoi abitanti.
Ares dice che quando le storie di queste persone escono dall’agenda internazionale perché non c’è più l’emergenza, allora esse spariscono anche dalla coscienza dei popoli e i contributi calano drasticamente.
Un film hollywoodiano come Blood Diamond ha il merito di riportare l’attenzione su zone di ex guerra la cui popolazione tenta oggi di camminare con le proprie gambe dopo anni di sconvolgimenti.
Ares ha contribuito alla realizzazione del film mettendo a disposizione le sue foto delle operazioni del PAM negli anni in cui era in Africa Occidentale e che sono state utilizzate dalla troupe per garantire al film l’autenticità necessaria.
Nonostante Paul Ares abbia lasciato l’incarico in Africa nel 2000, si capisce che una parte di lui è ancora lì dal modo in cui mostra le tante mappe della regione, spiega i flussi di rifugiati e la storia che sta dietro ai conflitti dell’Africa Occidentale.
Mentre lavorava per il PAM nell’Africa Occidentale, è stato preso in ostaggio due volte e ha rischiato la vita. Uno potrebbe chiedersi perché lo ha fatto. “Faccio questo lavoro perché ci credo. La mia più grande soddisfazione è aiutare la gente”, dice convinto.