Diario dal Kenia
Marcus Prior, Portavoce del Programma Alimentare Mondiale (PAM) dal Kenia
Primo giorno
E’ surreale. Molti convogli del PAM in missione nelle aree di conflitto viaggiano con scorte militari che partono dalle guarnigioni o che si aggiungono ai convogli lungo la strada che li porterà fuori dalle città. Qui siamo a Nairobi, e due Land Rover cariche di soldati kenioti ci stanno aspettando nel piazzale del centro commerciale ABC Plaza – dove si trova il bar più in voga di Nairobi. Come molti in Kenia, non riesco a credere a quello che succede in questi giorni.
Il viaggio verso nord, lungo la Rift Valley e attraverso alcuni dei paesaggi più straordinari del pianeta, si è svolto senza incidenti. Finché non siamo arrivati in una località chiamata il Bosco Bruciato, a nord di Nakuru, che era – beh, sì – bruciato. In una cittadina, l’edificio più grande è sventrato dalle fiamme, il mercato raso al suolo e in un campo vicino alcuni fedeli alzano le braccia al cielo pregando perché gli eventi che hanno distrutto le loro vite finiscano presto.
A Tarakwa, una cittadina tagliata in due dalla strada principale a sud di Eldoret, i cortili di due chiese sono stipate di persone in cerca di rifugio. Da ogni parte, si vedono i segni dell’esodo – beni ammucchiati ai lati della strada e persone che aspettano un qualsiasi passaggio che li porti via – non importa dove.
Soldati dell'esercito keniota
Poi sono arrivati i blocchi stradali – spesso si trattava semplicemente di pietre e pali del telefono gettati sulla strada - presidiati da vigilantes con machete, arco e frecce. Gli unici fucili che abbiamo visto erano quelli dell’esercito, con i soldati impegnati a sgomberare le strade nel tentativo di riaprire la linea vitale di rifornimento che attraversa il paese per arrivare fino in Uganda e poi in Sudan. I resti carbonizzati di diversi camion saccheggiati non sono passati inosservati agli occhi del nostro esperto di logistica – muovere il cibo su strada non sarebbe stato un lavoro facile.
L’ultimo tratto di strada, fino ad Eldoret, è stato tranquillo, per quanto spettrale. Oltrepassando la cattedrale abbiamo visto, anche qui, intere famiglie che ne occupavano ogni angolo, in cerca di salvezza. Senza rifugio, con poco cibo e poca acqua. E fa freddo, la notte, da queste parti.
Secondo giorno
Di solito il PAM distribuisce poco cibo in questa regione, per lo più agli studenti e ai malati di HIV/AIDS. Tuttavia la nostra presenza si traduce in un immediato vantaggio perchè significa poter contare su strutture come un ampio deposito con scorte di cibo. Prima di novembre non c’era cibo in questo deposito. Averlo ora è un vero colpo di fortuna.
Ma le scorte non bastano. Non ci sono né l’olio per cucinare né i biscotti ad alto contenuto energetico, entrambi sono sui camion diretti a Eldoret e bloccati a causa dei disordini scoppiati dopo il risultato delle elezioni. C’è assoluto bisogno che riprendano il viaggio.
Al deposito, gli uomini del PAM stanno caricando sui camion della Croce Rossa keniota sacchi di piselli e latte di soia. Spetta alla Croce Rossa distribuire gli aiuti. I camion si muovono; è già un segnale incoraggiante, significa che presto il cibo raggiungerà chi ne ha bisogno.
Lasciamo il deposito e cerchiamo di superare un lungo convoglio di circa 20 autobus e 50 automobili, diretto a sud di Eldoret. L’esodo continua guidato dalla paura e dalle intimidazioni. Questa piccola porzione di Kenia è completamente sconvolta.
Ci dirigiamo verso nord e alla periferia della città ci assale un’altra scena di devastazione; ci sono negozi, uffici e case completamente distrutti dal fuoco. E’ stata una furia selettiva che ha raso al suolo alcuni edifici lasciando intatti quelli vicini.
A Soy, ci sono circa mille persone al posto di polizia. Dicono che sono scappate senza poter portare nulla con sè; in molti casi era il prezzo da pagare per avere il permesso di abbandonare l’abitazione prima che bruciasse. All’esterno un bus già carico attende l’alba per partire e dirigersi verso sud.
In altri accampamenti ci aspettavamo di trovare persone sistemate all’addiaccio. Queste, almeno, erano le informazioni che avevamo. Invece, li abbiamo trovati completamente vuoti. Molte persone erano ritornate a casa sperando in una situazione più calma (come ci continuavano a ripetere le autorità locali) altre invece avevano preferito abbandonare la regione. Sulla strada del ritorno, nei pressi di Eldoret, ci imbattiamo in due camion con biscotti ad alto contenuto energetico. La notizia ancora più confortante è che domani arriverà anche l’olio per cucinare.
Terzo giorno
Ci dirigiamo a nord, fuori dalla città, questa volta diretti a una scuola elementare nella cittadina di Noigam. Al nostro arrivo, troviamo migliaia di persone che girovagano intorno agli edifici dove si trovano le classi. Molti di loro sono costretti a dormire all’aperto da diversi giorni, ormai. Si lamentano che non hanno cibo sufficiente, che non c’è acqua potabile e che i loro figli cominciano ad ammalarsi. Si stima che il quaranta per cento degli sfollati siano bambini.
L’aria è tesa. Sotto un albero, vicino l’ingresso, giace il corpo senza vita di una donna, madre di due figli, uccisa con un colpo di fucile da un gruppo di uomini che, nelle prime ore della mattina, ha cercato di depredare il bestiame che la gente è riuscita a portarsi dietro nella fuga.
Poco dopo il nostro arrivo c’è del trambusto – urla e confusione – prima che intervenga la polizia e fermi un ragazzo, con la faccia coperta di sangue, per portarlo nella vicina stazione di polizia. E’ stato fortunato a sfuggire alla folla, che lo crede coinvolto nel saccheggio della mattina. Più tardi, un altro giovane viene preso di mira allo stesso modo e la polizia deve di nuovo intervenire. La fiducia si è dissolta e trasformata in paura.
L’attenzione ora è attratta dall’arrivo di sette camion carichi di cibo. Con un’efficienza notevole, date le circostanze, un prete del posto organizza gruppi di giovanotti per aiutare a scaricare i sacchi di cibo. Nel giro di pochi minuti, grano, piselli, biscotti ad alto contenuto energetico e latte di soia vengono sollevati dal retro dei camion per essere poggiati in alti mucchi sul terreno polveroso.
Grace Omariba ha 26 anni e due figli piccoli. E’ istruita e si sente da come parla. “Non c’è più cibo – è stato tutto bruciato”, mi dice. “Non ci sono coperte, né pentole né padelle. Io ho ancora i vestiti che indossavo quando sono fuggita, non ho niente altro. Dormiamo all’addiaccio e la notte ci sono le zanzare. Il nostro paese ha bisogno di pace”.
Stiamo per ripartire e vediamo, in lontananza, i fianchi del monte Elgon in fiamme. “Quelli sono granai”, mi dice un collega del posto. Trovare cibo a sufficienza sarà una battaglia per molte persone, nei prossimi mesi.