Di Margherita Pierobon - La Squadra: Emergenza in Ristanga
della scuola "G. Santini" di Noventa Padovana (PD)
Era brutto pensare che i soldi per aiutare delle persone povere e in difficoltà non ci fossero. Questa era, però, la realtà. Tutti e tre, per fortuna, avevano fiducia nel loro lavoro e in loro stessi. Sapevano che in un modo o nell’altro ce l’avrebbero fatta. Ne erano sicuri.
Durante il viaggio in aereo nessuno parlò. Ognuno era immerso nei suoi pensieri, ma Carlos doveva ancora fare alcune telefonate. Era davvero un tipo solitario e scontroso, ma in verità amava quello che faceva e voleva bene a tutte le persone che lo circondavano.
Carlos chiese all’hostess se poteva fare alcune telefonate dall’aereo per un’emergenza del PAM e quando questa gli diede il permesso, lui decise di farle fare a Rachel.
“Rachel, fai tu: devi chiamare Angela per chiederle come siamo messi con i fondi e poi anche Magda per sapere chi ci assisterà nella missione in Ristanga, chi sarà la nostra guida, eccetera.. lo sai il procedimento, no?!”
Sì, lei lo sapeva bene, da anni faceva queste telefonate al posto di Carlos.
“Pronto, Angela? Sì, sono Rachel.. come siamo messi con i fondi?.. Ah sì.. immaginavo.. non bene.. sì.. Cosa?!.. Una donazione generosa dell’ultimo minuto? Da chi?!.. Non importa, che Dio lo benedica.. Ciao, ci si sente.”
Rachel chiuse la telefonata, gli altri due la guardavano interessati. ”Cosa?!” disse Joe.
“Una donazione dell’ultimo minuto da un milionario americano…ma in ogni caso i soldi non bastano ancora.. chi devo chiamare?..ah sì.. Magda!”
“Pronto Magda.. sì, sono io.. Dimmi tutto quello che sai! Sì.. ah ah.. va bene, grazie!”.
“Dice che in Ristanga vi sono già cinquanta dei nostri.. gli altri stanno arrivando.. la guida ci aspetterà all’aereoporto, si chiama Iris, è una donna…”
“Ok, i nostri che sono già lì, cosa stanno facendo?” chiese Joe.
Era una domanda stupida. “Ma secondo te? Sembri un novellino, Joe.. staranno cercando di mettere in piedi un sistema efficiente di telecomunicazioni.. solo così potremo rimanere sempre in contatto!” rispose Carlos, scontroso.
Il resto del viaggio stettero zitti, nonostante i numerosi tentavi di Rachel di coinvolgere gli altri due in un complesso cruciverba.
Arrivati in Ristanga, erano stanchi e addormentati, tranne Rachel, naturalmente. Come previsto, c’era una donna ad attenderli. Era di media statura, i capelli scuri, mossi, gli occhi azzurri e le pelle color caffè. Sul petto aveva un cartello con scritto PAM e subito sotto c’era stampato il suo nome: Iris. Era molto bella e presto si rivelò anche simpatica. Salutò tutti con calore.
“Vi porto subito alla base” disse, sorridente.
Per tutto il viaggio parlò, illustrando la situazione del paese. Joe ascoltò solo per metà il discorso, era impegnato ad osservare il magnifico paesaggio davanti ai suoi occhi. Non si stancava mai, ogni volta che veniva in quel paese continuava ad incantarsi di fronte alla magnifica distesa erbosa, agli alberi solitari, bassi e dalle forme così strane: sembrava facessero a gara tra loro per aggiudicarsi il titolo del “Più bello in assoluto”.
In lontananza si intravedevano le montagne, basse ed arrotondate e più ad est vi era la grande foresta pluviale dove avevano svolto una missione due anni prima.
Iris continuava il suo discorso: “ La situazione, qui, è molto critica. L’inondazione del fiume Tico ha provocato morte, disagio e fame. Il guaio è che siamo nella stagione delle piogge e il fiume continua a straripare. Si è pensato di ricostruire degli argini e rinforzarli, ma voi avete un altro compito. Quando arriverete alla base dovrete organizzarvi con gli altri volontari. La zona più a nord, dove molta gente si è rifugiata, è piena di ribelli e di mine antiuomo .. e poi molti villaggi sono isolati dall’acqua.”
“Che mezzi possono arrivare, secondo te? Ci riusciremo con delle canoe?” domandò Carlos.
“Sì, è probabile, ma è compito vostro stabilirlo”.
“Come siamo messi con le comunicazioni?” chiese, invece, Rachel.
“Forse è l’unica cosa che va bene, grazie a Dio.. gli esperti sono riusciti a mettere in piedi un sistema efficiente.. Dobbiamo sperare!”
Non era ben chiaro in cosa dovessero sperare, ma ognuno pensò per sé e nessuno commentò.
Arrivati alla base, molte persone andarono loro incontro per presentarsi.
“Finalmente, vi stavamo aspettando!” disse una voce amica: era quella di Miles.
“Ciao Miles, che piacere rivederti!” esclamò Rachel.
“Ciao Miles!” disse Joe.
“Ciao” borbottò Carlos.
“Ciao ragazzi..e allora? Come era la vostra guida?”
“Molto preparata” commentò Rachel, sorridendo alla loro nuova compagna d’avventure.
“Lo so.. l’ho scelta apposta.. ragazzi, che aspettate? Venite dentro, si inizia a lavorare!”
Carlos avvertì di nuovo l’adrenalina salire alle stelle.
“Allora… è una vera e propria emergenza: due giorni fa, il fiume è straripato in più punti, parte della popolazione del fiume è fuggita verso nord, ma immagino che Iris vi abbia detto che situazione c’è lassù, molti sono rimasti intrappolati nei villaggi o in quel che rimane di essi, la gente morirà di fame se non agiamo in ventiquattro ore! Forza e coraggio!"
Le quattro teste si piegarono sulla cartina distesa sul tavolo e dopo due ore il piano di intervento era stato concordato. Sapevano comunque tutti che in questi casi occorre essere pronti a improvvisare, ci si può sempre trovare di fronte a qualcosa di imprevisto, un dettaglio non pensato che può mettere in pericolo l’intera missione. Carlos e Joe si sarebbero occupati dei villaggi: l’idea di usare le canoe era sembrata convincente.
Cercarono Iris: occorreva cercare ed attrezzare almeno venti canoe di quelle che gli indigeni usavano per spostarsi e commerciare sul fiume, oltre a trovare una ventina di uomini pronti per la missione. Miles e Rachel invece cominciarono a telefonare: occorrevano elicotteri per raggiungere la zona nord: avrebbero portato cibo, ma anche tentato di portare fuori dal pericolo delle mine perlomeno le donne, i bambini e i feriti.
Trovate ed equipaggiate le venti canoe e i venti uomini, Joe e Carlos erano pronti per il loro viaggio. Rachel diede un rapido bacio sulla guancia ai due amici. Tutti sapevano che lei avrebbe voluto andare con loro.
“Tranquilla” disse Joe. “Poi ti racconteremo tutto, nei minimi particolari!”
“Promesso?!” chiese lei.
“Promesso!” rispose lui, sorridendo.
Salirono sui camion che avrebbero portato i volontari e le barche fino al luogo dell’inondazione. Quando arrivarono sul posto, tutti avrebbero fatto volentieri marcia indietro. Il paesaggio davanti a loro era orribile: l’acqua ed il fango dominavano la scena, poche case distrutte, cadaveri e carcasse galleggiavano nell’acqua fangosa. Tuttavia si misero al lavoro.
Una buona notizia fu portata da un volontario che lavorava per ricostruire gli argini del fiume: ce l’avevano fatta, in quel punto il Tico non avrebbe più straripato.
“Metà del lavoro è compiuto, ora tocca a noi!” disse Joe.
Sapeva che il vero lavoro arrivava ora. Caricarono il cibo sulle canoe e a forza di remi raggiunsero, a fatica, le case sparse qua e là. Alle volte dovettero entrare nelle case distrutte per capire se vi era ancora vita dentro (e spesso trovavano solo cadaveri di intere famiglie), altre volte la gente li aspettava sulla porta con le gambe immerse nel fango fino al ginocchio.
La scena, però, si presentava sempre uguale: donne magre e disperate, bambini denutriti e nudi. I pochi uomini erano feriti, molti erano morti nel tentativo di salvare la famiglia.
Compiere la missione non fu facile, ci misero cinque giorni. Non dormirono molto e a turno montavano turni di guardia. Non mangiarono molto, perché spesso preferivano dare il cibo destinato a loro alle famiglie molto numerose che si erano salvate per miracolo.
Man mano che si spostavano verso nord vedevano elicotteri del PAM passare sopra le loro teste. L’acqua lì non aveva fatto grandi danni. Lasciarono le canoe e fecero un pezzo di strada a piedi. Nessuno parlava, ma ad un certo punto…
“Attenti!” urlò uno dei volontari. “State giù!” e uno sparo sfiorò la guancia di Carlos.
Tutti seguirono il suo consiglio.
“Ci mancavano solo i ribelli, vero, Joe!” disse Carlos volgendosi indietro dove Joe doveva essere.
“Joe?!” chiamò Carlos. Poi lo vide: era disteso a terra, a poche decine di metri da lui.
“Joeeee!! Presto aiutatemi amici.. chi è che sa parlare la lingua di questo popolo?! Tu?? e allora forza, fatti avanti, contratta con i ribelli!”
I ribelli erano già lì, coperti da ampi teli color cenere. Legarono tutta la compagnia, compreso Joe, che perdeva sangue. Per la prima volta nella sua vita, Carlos conobbe veramente la paura, ebbe la sensazione di poterla toccare con mano. Sudava e il cuore gli batteva a mille.
Gli stranieri trasportarono i prigionieri in un casolare poco lontano. Durante la camminata videro due elicotteri colpiti da mitragliatrici. Non c’era bisogno di spiegazioni per capire cos’era successo. Entrarono nel casolare e lì trovarono altri compagni e tra loro anche Rachel: era ferita, ma appena li vide i suoi occhi si illuminarono: “Ragazzi, avevo paura foste morti…” ma si accorse di Joe.
"Vi prego aiutatelo! Carlos!” adesso aveva le lacrime agli occhi.
I ribelli costrinsero tutti a mettersi contro la parete poi porsero una cassetta di medicinali presa da un elicottero. Mentre Carlos cercava di aiutare Joe, uno dei ribelli parlò. Tutti, senza bisogno di traduzioni, capirono. Avevano chiesto un riscatto per i volontari catturati.
Rachel sorrise a Joe e anche a Carlos. “Come fai a sorridere?” chiese quest’ultimo, mentre disinfettava anche la sua ferita.
“Sorrido perché la missione è stata portata a termine: il cibo è arrivato dove c’era bisogno. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare: il nostro lavoro!”
Queste parole diedero conforto a tutti ed anche Joe, se pur debolissimo, sorrise.